LASCIAMI DANZARE, TE NE PREGO Quando la danza diventa terapeutica
- MARIANGELA SFORZA, danzaterapeuta
- 22 ott 2018
- Tempo di lettura: 3 min

Se il nostro corpo potesse parlare, cosa ci direbbe, o meglio, cosa ci urlerebbe?
Mettersi in ascolto del proprio corpo. Andare dentro di sé e portare fuori, senza nessuna forzatura, ciò che è rimasto a lungo inespresso. Chiudendo gli occhi o portando l’attenzione al respiro o, perché no, seguendo un suono lontano, appena percepibile ritrovarsi a danzare, potrebbe rivelarsi un’esperienza sorprendente. Ehm … chiedo scusa, volevo dire muoversi e non danzare. E invece no! Danzare è il termine più giusto, perché si può sempre danzare, si può ancora danzare, anche se non si è più giovanissimi e agili, sia se si è uomini o donne, indifferentemente, anche se non si è studiato danza da bambini. Sto parlando di una danza fatta di movimenti spontanei che permette a chiunque di aprirsi alla creatività. Come danzatrice mi sono accorta, molto presto, di come fosse differente fare apprendere una danza basata su di una tecnica precisa invece di insegnarne una che potesse partire dall'ascolto del proprio corpo e di quanto questo secondo modo fosse più interessante e più vero per la persona.
La vitalità di quando si è bambini, crescendo, si riduce a tal punto da allontanarci sempre più dall'esperienza del “corpo sentito”. Il modo di percepire, con il passar del tempo, diventa differente. Si finisce col sentire il proprio corpo in maniera sempre più segmentata. In seguito a conflitti interni e condizionamenti sociali e culturali, si subiscono delle tensioni tali da generare blocchi fisici, che ci portano a essere sempre più fisicamente inibiti. Così, spesso, i nostri movimenti e i nostri gesti, sono il risultato di un rigido controllo della mente sul corpo.
Nella danza terapeutica si lasciano fluire i movimenti, partendo da un qualsiasi stimolo o risorsa disponibile senza aspettative e giudizi, conducendo la persona in una dimensione nuova, pregna di piacere e benessere. Gli stimoli di cui parlo possono essere i più disparati materiali: tessuti, carta, colori, oggetti di uso comune. Anche lo spazio con le sue direzioni, le tre dimensioni e i tre livelli (alto, medio e basso) è un semplice stimolo per ricercare una propria danza spontanea. Durante questa esplorazione avvengono dei contatti, degli incontri con gli oggetti e con gli altri. Le reazioni che ne conseguono non sono altro che le stesse reazioni con cui ci si confronta nella vita reale ed è qui che appaiono le storie personali di ognuno, ma anche di una società e, per andare ad un livello più arcaico, la storia di una specie e delle sue origini. Ma lo stimolo per eccellenza è la musica che in questo contesto diventa essenziale. Non essendo mai neutra, ma capace di evocare immagini in chi la sta ascoltando, va scelta con molta cura, facendo attenzione alle emozioni che può provocare. È anche importante vivere la musica nella sua totalità, percependola non solo a livello uditivo, ma come se attraverso la pelle entrasse in ogni cellula del nostro corpo e lo spingesse a muoversi nello spazio.
Procedendo in questo modo, il corpo entra in relazione diretta con tutto ciò che lo circonda, ci si accorge che il linguaggio verbale diventa non necessario. Se resta tale, tranne che per i momenti in cui la parola entra in scena come prolungamento del movimento, anche il “pensiero verbale” scompare. Ecco che l’agire diventa non razionale ma più profondo e più vicino alle emozioni e quindi più vero.
A questo punto ritorno alla domanda iniziale; se il nostro corpo potesse parlare cosa ci direbbe? Provate a mettervi in ascolto. Lo sentite cosa vi sta dicendo? “Lasciami danzare, te ne prego.”
Lo sentite vero? E adesso basta parole, muoviamoci!
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